Friday, September 02, 2005

La cartina ce l'ho stesa davanti ai piedi. Anzi due cartine. Una della Jugoslavia (quella vera con la stella rossa) e una d'Europa. Come sempre, una troppo dettagliata e l'altra troppo vaga. Ma poi perchè guardare le cartine? Per puro piacere, tanto so già la direzione. Direzione Sud. Spiagge deserte immacolate e pronte alla calata/colata degli speculatori edilizi. Rilassamento e depurazione polmoni da polvere tirannica.



Il nord dell'Albania, sinceramente, mi è passato in testa rapidamente. Forse le poche parole della Lonely Planet (attenti ai briganti) o quelle di diversi albanesi del Sud. Sapevamo tutti che ciascuno è il terrone di qualcun'altro, la catena è infinita. Qui i due anelli sono albanesi del sud (Toschi) contro albanesi del nord (Gheghi), e i terroni li interpretano questi ultimi. Spesso saranno i toschi a descrivermi il nord come un Borneo impazzito, mentre i gheghi che conoscerò magnificheranno le bellezze naturali e l'ospitalità nordica. (Tra l'altro, nelle zone più remote del nord sembra si applichi il Kanun, che prevede faide interrotte tra famiglia ma sacra accoglienza all'ospite: morale, la prossima volta vado a nord, non uccido nessun membro di famiglia numerosa ma dormo e mangio a sbafo).

Destinazione Saranda. Ti aspettavo qui per oggi a Saranda, eri lontanissimo due giorni fa. Effettivamente ero lontanissimo, con il corpo e la mente, e pensavo ancora che mi aspettassero sparatorie. Adesso già il demone ed il genio dell'Albania l'ho nel taschino e mi muovo come fossi a casa.

Il vantaggio di essere italiano: venire da un posto che unisce Svizzera e Tunisia e sentirsi a casa a Zurigo e Tunisi. Un liechtensteinese magari si sente a casa solo a Berna e Linz.

Pago e congedo il padrone dell'hotel: il denaro ci rende tutti amici e mi da una bella pacca sulla spalla come il padrone di casa a Ohrid. Poi esco con i miei dodici chili sulle spalle ma ormai padrone di Tirana, fiuto e rifiuto la truffa del tassista, mi sento un vero viaggiatore esperto ed un uomo duro. Peccato che poi mangi zuppa di polvere alla tiranese per mezz'ora e il terminal dei minibus abbia cambiato sede. Chiedo informazioni sul nuovo terminal ai locali, scelgo persino quelli che mi paiono più attenti, il risultato è più o meno vai a Nord, vai a Sud, vai a Est, vai a Ovest.

When in Rome, do as the Romans. Mi sento a mio agio come latino. Chissenefrega se perdo il bus per Saranda, in qualche modo vado verso Sud. Il proprietario di un negozio (vende beni imprecisati, lavatrici forse) mi offre una sigaretta, io chiacchero con lui e nel frattempo aspetto un taxi, il proprietario parla con un signore e sarà lui a guidarmi a destinazione. Il peggior ingorgo della mia vita sulla strada Bombay-Calcutta che segue è solo un preludio stonato alle delizie estive che mi aspettano.

Saluto la mancanza di tombini che libera dal traffico i motociclisti più sbadati, gli autobus senza numero, gli autobus di Milano, Madrid o Francoforte che circolano e sono gli unici ad avere un numero, i bancomat con le guardie armate. Aiutino ai turisti: non credete a quanto vedete sull'autobus: il 96 non va a Simmering. Per andare a Simmering prendete un volo Tirana-Vienna e poi vi informate là.
Mi sento un po' un turista lamentoso. Poi però scrivo due settimane dopo e mi manca. I deliri sull'Albania quale luogo dell'anima sono scomparsi, rimane la riscoperta dell'albanesità nascosta nell'animo di ogni mediterraneo. Sino a che non ci incaviamo tra Svizzera e Austria rimaniamo lì al centro del mediterraneo e dobbiamo esserne ben contenti.

Perdo il furgon ma prendo al volo l'autobus di linea. Linea non è la parola giusta. Ci metterò tanto ad arrivare a Valona ma a bordo si sta tranquilli, guardo il documentario dal finestrino, mentre fuori da Tirana il mondo torna a quote più normali. Passo vicino a Durazzo (credo), mi magno una pannocchia dal venditore ambulante salito sul bus e alle 3 sono a Valona.

E' il conducente dell'autobus, il sosia di Fabrizio Bentivoglio, che mi dice che alle quattro passa l'autobus Tirana-Saranda. Mi siedo, mi lasciano un posto al tavolo, non sono molto socievoli, tranne un ragazzo con cui scambio due parole, pure lui emigrato in Grecia, anzi ormai mezzo greco. Il 99% degli albanesi con cui parlo mi dicono merda, ma merda merda, della Grecia. Ci sono 500.000 albanesi in Grecia ed i Greci sono razzisti, dopo un Albania-Grecia 2-1 hanno ammazzato un ragazzo albanese che festeggiava. Poi spesso aggiungono: loro sono razzisti, non come voi italiani. Salite su un qualunque autobus e chiedete agli italiani cosa pensano degli albanesi, penso io.

L'autobus passa alle quattro e mezza carico di acne e costumi da bagno. Sollevo la soma, provo a incastrarmi ma non ce la faccio e vengo scacciato dal conducente con male parole. Niente da fare, l'ultimo autobus per Saranda mi è sfuggito così dalle mani. Rimangono a terra con me una dottoranda slovena che fa la tesi sulle montagne e una coppia albanese. Potrei dormire anche qua ma il miraggio delle plazh albanesi mi muove. Prendiamo un taxi che ci costerà 5000 leke. Quaranta euro, almeno siamo in tre a dividerlo ma comunque mi scoccia; effettivamente potrei fare autostop e troverei sicuramente qualcuno che va a sud, ma i ventott'anni ormai pesano come quaranta e accetto. Dopo che mi sono distrutto l'alluce su un marciapiede dissestato partiamo. Formazione: tassista tagliagole e sosia di Zingaretti davanti, coppia albanese dietro.

I miei compagni di sedile posteriore sono una coppia composta da una ragazza normale e da un maschio semi-bovino. Tanto per fare un esempio lui getta strafottente un pacchetto di sigarette commentando qualcosa del genere "qui si vive bene, puoi fare quello che vuoi", lei lo rimprovera inutilmente. Spesso noterò coppie assortite in questo modo. Le donne salveranno il mondo.

E poi continua a menarmelo da mille angolature differenti, che l'albanese è la lingua più difficile del mondo, che gli albanesi sono i più intelligenti del mondo poi si impunta che devo andare a Himara e non a Dhermi. Testa di xxxxx, se io voglio andare a Dhermi perchè la Lonely Planet, che è il mio libro sacro da sciita, mi dice che li c'è una spiaggia deserta, mi devi lasciare andare e non obiettare. Forse il peggior shqiptar che ho incontrato nella settimana.

La strada si lascia indietro le belle spiagge di Valona, divide a metà una valle brulla e poi sale sino al passo Llogaraja. Ci arrivi se al tassista che ti sta portando non chiede pietà la Mercedes esausta. Per fortuna il tutto accade nei pressi di un ristorante di montagna e la guida suggerisce di provare la specialità della montagna. Lo spit-roasted lamb. Mi fa un po'schifo ma in fondo la saliva arrosto si asciuga. Mi viene l'acquolona in bocca.

Mi sento un po' in colpa a fare aspettare la macchina, che sta rifiatando ai margini, ed i compagni di viaggio. Timido mi rivolgo all'ispettore Montalbano
- Certo che quegli agnelli sono proprio belli
- mangia qualcosa qui (la risposta che speravo)
- ma abbiamo tempo? Non vorrei farvi aspettare…
- SCHERZIIII? Adesso ci sediamo tutti che pure io ho fame

Segue allegra tavolata e scofano alle cinque del pomeriggio 300 gg di agnello, insalata freschissima e brioche per non farmi mancare un dolcetto. Una faccia, una razza, sempre più.

La discesa da Llogara è magnifica. La montagna crolla nel mare turchese, sale la nebbiolina e ad ogni curva busso alla porta dell'angelo custode. C'è silenzio e stanchezza a bordo dello pseudotaxi, meglio così; spremo il panorama e me ne porto un bel po' nella memoria.

Poi mi lasciano all'inizio dello sterrato che porta alla spiaggia di Drymades. Mezz'ora a piedi in sandali ma sono felice. Ci sono ulivi, mare, odore di erbe. Benvenuti sul Mediterraneo. Notte in sacco a pelo mentre le cicale starnazzano e le olive fanno ploc sulla tenda.

Thursday, August 18, 2005

La colazione ce la perdiamo perche' mi sono imposto ed ho proibito sveglie ad ore improbabili. Ho pensato che potremmo andare a Kruja che e' una gita non lontana da Tirana. Perche' nel frattempo Jose' ha deciso di andare in Kosovo stasera. Io sarei tentato ma mi interessa vedere anche un'altro po' di Albania o forse in fondo mi sono gia' innamorato del paese. Mi dispiace che Jose' se ne vada, era un grande compagno di viaggio e credo che per un po' non ci saremmo scannati.

Jose' fa il maestro, ha un padre di 89 anni (veramente!), e' una persone curiosa e tollerante e si e' veramente costruita da sola. Progetta un viaggio che lo portera' per l'Asia Centrale sino a Vladivostok e poi ritorno. Scrive per il giornale della sua regione, fa foto bellissime e con lui vado d'accordo. Piu' il tempo passa insieme e piu'le persone le odi, ma con lui sento che potrei stare tanto tempo. Ha deciso di partire e mi dispiace non vederlo piu', ma voglio stare un po' da solo e godermi solo me stesso. Un bell'orizzonte altruista.

Provo il burek albanese. Nessuna forma oblunga, piuttosto una simil torta pasqualina ripiena di formaggio. Buona.

Partiamo per Kruja. Meglio, cerchiamo prima la partenza dei furgon e la guida dell'Albania (introvabile in Italia) ci da il giusto tip. Ma prima passiamo a cercare l'autobus per il Kosovo e ci tocca la visita al mercato gitano. A suo modo e' uno spettacolo, con i bambini che chiedono a Jose' delle foto e pollami imprecisati accosciati di fianco al padrone. Uno dice a Jose' no foto no foto, parlo con la signora per chiedergli come andare a Prishtina e una famiglia si appropinqua. Il pater familias e' un giornalista albanese kosovaro e parte per Prishtina la sera stessa. Prova ad informarsi, cambia la scheda del telefono e chiama per vedere se c'e' posto sull'autobus, che va sempre pienissimo e che lui ha prenotato da una settimana. Non c'e' posto. So let's do it the Albanian way. Quesito: un autobus e'pieno, una famiglia ha cinque biglietti, per padre, fratello del padre, madre e due figli. Un'altra persona, uno sconosciuto, vuole andare a Prishtina. Jose', tengo mio figlio sulle gambe cosi' puoi venire a Prishtina, ed in piu' gratis.

Jose' sente l'angioletto (o Alvaro Cunhal) che lo saluta dall'alto pronto poi a passare fattura per le troppe sollecitazioni, e se ne arrivera' a Prishtina alla mattina dopo, come voleva lui. Proseguira' per altre citta' martoriate, Sarjaveo, Vukovar, Srebrenica, e se non mi manda le foto lo uccido. Una sua foto, con un'anziano che abbraccia un gattino, commuove tutti gli spettatori.

Il furgon parte e ad accompagnarci nel tragitto c'e' Sokol che vive a Tagliacozzo. Sinceramente non sapevo neanche dove fosse, sta sulle montagne dell'Abruzzo a un centinaio di chilometri da Roma, e difatti Sokol parla con un accento bello pastoso. Ovunque ti giri gli emigrati albanesi assorbono le cadenze del luogo. Conoscero' albano-ternani, albano-pratesi ed albano-pavesi, tra gli altri.

Sokol e' cattolico e si e' integrato bene nel paese. Anzi quando ne parla usa l'orgoglio dell'abitante storico e non dell'adottivo. Conosciamo la sua ragazza che tra poco verra' in Italia e si sposeranno. Bella coppia e begli sguardi. Nel frattempo la doccia di polvere e' finita, la gola e' bella intasata come i vestiti, saliamo per le montagne di Kruja. Il paesino e' pittoresco e dall'alto vedi mezz'Albania. Il vero grande momento e' il primo Fergese della mia vita con uova, pomodori e carne, servito ebollente in terracotta. Poi mi uccido di agnello mentre dalla collina sottostante giunge musica da matrimonio. La prossima volta mi imbuco. Durano tre giorni ma a me il pranzo finale basterebbe, con super cibi e balli per ore ed ore. Vediamo se SOkol mi invita, io dico a loro di passare per Genova.

Scappiamo che alle 7 Jose' ha appuntamento con il fratello dell'amico kosovaro. Erion e la sua ragazza ci accompagnano sino al paese successivo dove cambiamo furgon, li' chiacchero un po' con un ragazzo albano-lucchese ed appare un bunker decorato a festa e ormai compagno fisso di giochi per i bambini di un asilo. Sento di nuovo la polvere in gola come quando ingoiavo gioiosamente tonnellata di Nesquik senza latte.

Ultimo rush finale alla ricerca di scorci fotografabili di Tirana e di un bancomat Maestro per Jose', corriamo per il centro e i suoi sandali dicono basta. Allora senza fare una piega tira fuori un nastro di scotch e ne fa una fibbia per i sandali degradati a ciabatte. Grande.



Poi un abbraccio e corre a prendere il bus.

Torno in piazza Skenderbeg e becco due italiane nella libreria con i testi inglesi. Sono degli esteri, o meglio una non mi vuole dire cosa fa e se la tirano un po' e quell'accento romano/ministeriale mi da' sui nervi, poi sono tutta una critica dell'Albania. Butrint e' deludente, le spiaggie sono piene di rumenta, loro sono dei disastri, meglio il Montenegro, la Macedonia, o il Kirghizistan.

Allora meglio due chiacchere con due poveri australiani che vengono da Londra e sono davvero un po' sperduti. Almeno pero' hanno sguardi meno maliziosi della spia romana. Gli dico di andare al mio albergo Kalaja che in fondo e' a buon prezzo e comodo.

Poi mi caccio in un internet cafe' mentre l'Inter travolge lo Shaktar Donetsk e nessuno sembra interessato ad Internet mentre Stefano Bizzotto urla.

Avevo un appuntamento con i due ragazzi australiani per una birra. Poi scopro che io non sto al Kajala ma al Guva, che e' DAVANTI al Kalaja. Sono un quarto d;ora in ritardo, tanto i due tipi non ci sono ed allora, dato che il portiere non parla inglese, ricorre al dottorando albanese che studia ad Amburgo. Nessuna grande Albania mi dice, ma il Kosovo e' albanese ed i serbi raccontano panzane. Accenno che la posizione e' uguale e contrapposta a Guca e non solo, ma lo accenno timidamente. Afferma che i kosovari sono maturi per l'indipendenza. Meglio per tutti cosi'.

Degli australiani neppure l'ombra. Giro per Blloku alla ricerca del bar Berlusconi. Purtroppo deve essere scomparso e trovare le strade a Tirana, anche le strade del centro, e' impossibile. Non sono indicate e nessuno le sa. O se le sa dormiva. Allora entro in una gelateria e chiedo alla cameriera come si chiama la via. Non lo sa. In ogni caso la vita va avanti e la gente va al lavoro e torna a casa. Sono necessari i nomi delle vie? E' vero che a Tokyo non ci sono? Qualcuno mi spieghi.

Blloku e' un blocco di strade quadrate e piene di bar. Allo stesso tempo rifugio per gli expats che ritrovano la vita notturna occidentale e casa di gente tirata. Mi piacerebbe anche trovare posti diversi per uscire non me sanno indicare altri gli stessi tiranesi. Tirana ha la stessa etimologia di Teheran. Quindi tiraniani.

Pappo due stupidaggini e mi godo ancora un po' di parata militare da solo. SOno le due di notte e vago senza meta per Tirana. Detto cosi' sembro Luke Skywalker e il cuore della mia mamma sarebbe straziato. In realta' mi sento in una media citta' italiana, con i passi tranquilli verso l'albergo. La notte del Blloku si e' spenta (in fondo e' AGosto e molti sono partiti).



Una bella notte da solo e da domani svacco.

Wednesday, August 17, 2005

Ci incamminiamo per il boulevard che costeggia il lago. Abbiamo per la prima volta un bunker a fianco e quella testa di Jose', tanto per non dare l'occhio e non fare capire a tutta Pogradec che ci sono dei turisti sprovveduti in giro, comincia a fare foto ovunque. Ti capisco Jose' che avere per la prima volta un bunker di Hoxha a fianco da i brividi, ma vacci piano che insieme a te viaggia anche uno abituato alle delizie della vita parigina.

Parliamo invece del sistema dei minibus, che a quanto pare accomuna solo Albania e Turchia in Europa. Non e' un sistema stupido. L'autobus parte quando e' pieno. Lo prendi o al capolinea o sulla strada. Poi la strada che fa la sanno tutti, parli con il conducente e ti molla ovunque tu vuoi. Peccato pero' che per dei turisti che colpevolmente non sanno dov'e' il capolinea ne' dove passano i minibus la situazione si complichi. Ci dicono prendete uno di quei furgoncini con la targa rossa, vedete se ha la sigla TR di Tirana, salite a bordo e via.

Siamo io e lui, io due zaini e lui uno. Poi quattro alcolisti nel bar all'angolo e due meccanici di fronte. La strada si ravviva ed i bambini ci guardano. Una notizia un po' originale non ha bisogno di alcun giornale e nell'ora successiva la pseudo sosta dei furgoncini (oppure appunto furgon) si riempie di autoctoni di ogni eta', compreso un signore vestito di verde con famiglia al seguito che ci guarda per una mezz'ora consecutiva stabilendo il record mondiale di eye contact. Siccome per le guide anglosassoni ed in genere per il mondo anglosassone l'eye contact e' come la merda in letto, la Lonely Planet ti dice di evitarlo almeno in situazioni potenzialmente tese.

Io seguo la Lonely Planet come se fosse il Corano. Quindi il tipo non lo guardo. Poi pero' passa un primo furgone per Tirana e lui si butta per strada per fermarlo per noi, che quasi viene investito. Grazie amico, altro che evitare l'eye contact. Lasciamo che alla metodica saggezza anglosassone si sovrapponga l'atavico italico buonsenso.

Quando alla fermata si sono accalcati ormai venti persone, passa il furgon (cosi' si chiama) e ci sistemiamo dietro soddisfatti. A sera saremo a Tirana.

La strada costeggia prima il lago e poi sale. Troppe novita', troppi stimoli, l'occhio fatica a scorgere tutto e cosi' fa la memoria che adesso mi inganna. Cosa scegliere tra la contadina seduta sui binari della ferrovia che lavora sul raccolto, i bunker diroccati, nascosti, palesati, palestrati, ridicoli, tetri, la polvere che si leva, il paragone con una Macedonia improvvisamente divenuta mito.

Nonostante l'apparenza, il furgon e' comodo. Mi stupisce che nessuno parli italiano ed attacchi bottone, ma fa lo stesso sara' per un'altra volta. La strada sale e scende, bunker e scavi, poi ci fermiamo per una sosta. Io continuo a non abituarmi al paese (in fondo ci sono da tre ore) e tengo d'occhio il mio zaino, poi mi invitano dei tipacci a bere una birra con loro e mi offrono persino una canna. Magari e' meglio di no, giusto? Nel frattempo Jose' torna entusiasta, la signora proprietaria del bar gli ha aperto una porta che dava sul vuoto.

La notte sta scendendo e maledico l'oscurita' che nasconde le chicche che ci aspettano ovunque. Passiamo ad Elbasan, una della citta' piu' grosse del paese, e con il mercato dei gitani eccoci in piena Delhi. Stracci, tavole impolverate, macerie non ancora assimilabili dall'occhio vellutato dell'occidentale. Poi una albanese mi spieghera' il tutto.

A meta' strada sale un tipo muscoloso con tatuaggi che lavora pure lui in Grecia e ci tocca il primo Ciao Italia. Nonostante tutto non ricorrero' quasi mai a Igli Tare o Bogdani. Qui non si fanno certo infinocchiare dal turista che gli spara due nomi di calciatori. Qui sono LORO che sanno la formazione dell'Albinoleffe. Con il muscoloso ci provo. Secondo me Jose' non si fida e gli racconta che siamo due studenti. In fondo e' vero, studiare l'Albania anche dalla finestra di un furgon e' compito arduo.

A Tirana scendiamo in un posto ed il culturista ci accompagna alla Piazza Skenderbeg. In realta' l'ho visto scritto in varie maniere ma in poche parole Skender e' Alessandro in turco e Beg e' come bey. L'eroe nazionale del paese e' rapito dagli ottomani (ovvero da quattro persone contemporaneamente), poi si rivolta insieme con i propri soldati e guida la lotta per l'indipendenza dei turchi. Lo trovi ovunque e basta persino il suo copricapo tipico per ricordarlo agli albanesi. Ce n'e' persino una statua a Roma e la nozione te la ripetono in tanti. Un eroe nazionale che combatte contro i turchi nell'unica nazione a maggioranza musulmana d'Europa. Split personality, come dicono i dalmati?

La piazza non e' male ma in preda alle macchine. In tante cose sono simili agli italiani ma Tirana non ha il giro pomeridiano (qui zhiro) di persone nella piazza principale. Piuttosto e' snodo del traffico ma l'insieme che comprende la statua di Skanderbeg, una magnifica moschea, palazzi ministeriali pastello, il fantasmagorico mosaico Albania e altre cementate varie cattura lo sguardo.



L'albergo e' dietro alla piazza. C'e' polizia ovunque e le strade sono semivuote, tutto appare lindo ma gia' alla strada circostante si ammassano i bidoni aperti, i marciapiedi rivoltati e lampadine malferme. L'hotel non e' male. 12 euro a testa per persino la doccia in camera. Ci proviamo a negoziare ma il tipo non e' il boss e non parla persino italiano. Chiama un collega italoparlante, Guardate che lui non e' il boss, lavora solo all'Istituto di Fisica Nucleare e lo fa per arrotondare. La bomba atomica albanese e' in buone mani.

La notte di Tirana esplode come una mina antiuomo nel Blloku, dove a quanto ho capito si congregano i bianchi bianchi e gli imitanti delle campagne. Camminare tanto e' ancora gratis ma tutto odora ad occidente e ad Italia. I fighetti si sono presi il quartiere che prima era della nomenklatura. O forse non e' mai passato di mano. Il ristorante che ci aspetta non lo troviamo subito, ma poi ci divertiamo un sacco con un misto di piatti albanesi ed Erion il capo dei camerieri. Alla fine stiamo sino alle 2 a parlare e ci facciamo persino il grappino finale.

Ovviamente parla perfettamente italiano e non c'e' mai stato da noi. Io pensavo che tanti secoli di vicinanza avessero influenzato i nostri compagni adriatico-ionici. Macche' sono onde televisive ad avvicinarci. La prima annessione fatta a colpi di Scherzi a Parte. A questo punto bombardiamo la Tunisia con Passaparola e Malta con il festival di Sanremo. Mare (veramente) Nostrum.

Torniamo ciondolanti dal quartiere diplomatico e ci stravacchiamo sul viale delle parate. Non c'e' nessuno (nel senso che passa una macchina ogni cinque minuti) e allora paratiamo io e Jose' tra le guardie svogliate delle garitte e le piramidi e le sfere di Enver Hoxha. Siamo noi a sfilare ma nessuno ci vede. In fondo dai questa Albania non e' malaccio.




La cameretta con vista lago e' graziosa ed il pavimento scricchiola sotto il peso delle valigie. In realta' e' la mia valigia che lo fa scricchiolare, che quella di Jose' e' praticamente vuota. Pesera' si' e no' 3 chili, la mia e' strapiena di dizionari, frasari, guide e cartine. Diversi modi di affrontare i viaggi. Tanto per dire, io ho degli scarponcini da montagne e dei sandali pseudo arabi. Jose' un paio di sandali di gomma con la chiusura ballerina e esausti per le continue sollecitazioni. Io due paia di pantaloni e lui nessuno. Io con Lonely Planet in prestito e lui senza nessuna guida. Sopravvive bene alla mancanza di sovrastrutture.

Il mio piano originale era partire con Silvia ed Edo ed arrivare sino a Lefkada. Due giorni di sdraiamento e pucciamento in Mare Ionio e poi risalimento verso la viulenza balcanica. Peccato che Ohrid sia proprio li' vicina al bersaglio grosso e la discussione con Jose' sul prossimo obiettivo non ha storia. Andremo con loro sino al confine, poi cominciamo a vedere cosa c'e' al di la' del muro.

Quel pezzetto di Macedonia che abbiamo provato e' in buone condizioni. Sono pochi e per adesso le scritte Morte agli Albanesi in alcuni cartelli stradali sono mere minacce. Se continuano ad esserlo ad Ohrid arriveranno anche tanti turisti occidentali e magari vi facciamo anche entrare in Europa, quella vera con i sussidi, entro il duemila bla bla bla.

Anche Sveti Naum e' bello e lindo. Hotel di lusso, turisti bianchi bianchi e un pavone riverito che passeggia indisturbato.



Un monastero sacro ai macedoni, sul lago e sul confine, con uno sguardo al di qua ed uno al di la del confine. Non vediamo fumi di kalashnikov al di la' ne' razzie ai supermercati e decidiamo di varcare la frontiera in un bel giorno d'estate. L'addio con i nostri amici e' momento simbolico da brividi.

Edoardo, con le mani tremanti perche' conscio della mutilazione del Testo Sacro, asporta con maestria il primo capitolo della Lonely Planet 2005 sui paesi dell'Europa Orientale. Il cielo si apre, la terra trema ma uno stormo di colombe appare in cielo.

Lo stupro e' compiuto. Ma cosi' volle il Signore dei Backpackers. Persino il capitolo sulla Bielorussia e' ora monco. Minsk rimarra' per sempre un sogno nella mente di Edoardo e Silvia, il Parco dei Martiri della Grande Guerra Patriottica o la durata del visto per la Russia Bianca pure.

Restiamo attoniti dinnanzi al gesto di Edoardo e Silvia. Oppure Si', vai El Dorado....i nostri santi martini ci hanno dato una testimonianza di amicizia. Ma non dubitiamo, come fa notare El Doardo, che la guida stessa sarebbe felice di cio'. Raggiunge in pochi minuti il proprio fine, si sacrifica per una piccola parte di umanita' e risorgera' tra poco per sedere alla destra del padre insieme ai due capitoli mancanti. Ciao amici ci vediamo in Italia.

Al confine le macchine ferme sono poche e in un minuto ecco i primi benefattori. I due ragazzi che arrivano da Ohrid con pinne ed ombrelloni sono di Pogradec, poco oltre la frontiera. Parlano inglese ed italiano, hanno visi familiari e sono mandati da San Backpacker per il primo passaggio.

Ai controlli di frontiera ci chiedono 10 euro per entrare. ovviamente Jose' non ha quasi un escudo ed io ho cinque euro. I ragazzi ci offrono il necessario mettendoci i soldi in mano. Possiamo partire.

Siamo in Albania. Cosa stiamo facendo in Albania? Vediamo com'e'.

Non ci credo che tutto possa essere merda. Il problema e' sempre lo stesso. In qualunque paese al mondo convivono le abiezioni piu' orrende e le creazioni e creature piu' eteree. Per la legge dei grandi numeri bastano un milione di persone di popolazione perche' in essa convivano San Francesco e Jeffrey Dahmer o Himmler. I problemi cominciano quando Jeffrey Dahmer si mangia San Francesco o Jeffrey Dahmer e Himmler decidono insieme di mettere San Francesco e meta' della popolazione in un campo di concentramento.

Siamo seduti su un baretto sul lungomare. Io discuto con Leonardo dell'Italia e dei visti (e' anche cittadino greco e si puo' muovere liberamente), Jose' parla con Ledia che lo guarda affascinato mentre le spiega tecniche fotografiche che paiono algoritmi. Dimenticavo di dire che Jose', tanto per passare inosservato, indossa pantaloncini corti, i predetti sandali, zainetto, giacchetta da fotografo ed una bella macchina fotografica al collo. Con cappellino da australiano. Nei miei incubi lui lotta con un borseggiatore alla stazione degli autobus di Tirana cercando di riprendergli la macchina fotografica sottrattagli.

Quindi prego Jose' che non faccia troppo il galletto con Ledia che Leonardo e' pacifico ma non si sa mai. Se lo chiamano il paese delle aquile e non dei passerotti un motivo ci sara'.

La ventata di tanfo arriva da chissa' dove.

Jose' tace. Non cominciamo a dire che odore di merda appena arrivati ed in presenza di due abitanti del luogo cosi' adorabili.
Andrea idem.
Leonardo (faccia schifata) Che puzza!
Ledia (sorridendo disillusa) Puzza d'Albania.

E cosi' via, Ledia vorrebbe che ci fermassimo ma non possiamo, Leonardo ci indica la fermata dei minibus, cominciamo da soli. Dimenticavo che la testa di cazzo che sono si era dimenticata di una cosa. Mentre ci stiamo salutando

Ledia - Sono molto imbarazzata a chiedervelo, ma....quei cinque euro...

Per fortuna sono abituato a rimediare in fretta e furia alle mie continue stupidaggini e la sollecitudine con la quale cerco di coprire l'imbarazzo mi merita un plauso da parte di me stesso. Bravo!

Tirana e' a 180 km occhio e croce. In un attimo ci arriviamo.

Saturday, August 13, 2005

La stazione di Kusturica si ravviva all'improvviso, la compagnia dell'anello ovvero i dieci passeggeri tendono l'orecchio e il treno si materializza. Gli aggeggi antimosche del personale della stazione paiono tacere per un momento, come i due bigliettari che non vedono piu' le tettone che li circondano.

C'e' chi vocifera che il treno sia il Monaco di Baviera-Atene, e per un momento penso a bagni lindi, riviste gratis e programmi di viaggio per tutti i passeggeri. Addirittura ti dicono il senso di marcia del treno. Non e' cosi' ma meglio di quanto si possa immaginare. In fondo nel nostro scompartimento c'e' solo un ferroviere che sta dormendo allungato su tre sedili ed un altro avventore. Poi io e Jose' ci stendiamo e il sacco a pelo di cui tanto avevo dubitato si realizza nel coprire le nostre estremita'. Tutto sa di casa e felicita'.

Ci svegliano controlli polizieschi, ferroviari, bisogni del ferroviere e dell'avventore, poi un mattino gelato appare fuori dal finestrino e siamo a Presovo. Confine serbo macedone. Non di quei confini proprio da brivido ma un passo di piu' verso la disorganizzazione, il chiasso delle folle in rivolta e i kalashnikov scaricati al cielo in segno di festa.

Nulla da dichiarare ne' da raccontare. Persino la bandiera della Macedonia che pende alla frontiera sopra al solito cagnolino randagio dei Balcani mi eccita. Pregusto gia' destinazioni piu' appetitose ma questo e' gia' qualcosa. Purtroppo della Macedonia so davvero poco. Paese diviso quasi a meta' tra slavi e albanesi, conflitti che per poco diventano guerra civile, varie altre razze minoritarie, bulgari che dicono che i macedoni parlano bulgaro e macedoni che - ma questo dovrei controllarlo - magari dicono che i bulgari parlano macedone. Nulla di nuovo, se non il primato di essere l'unica ex-repubblica jugoslava ad essersi separata dalla confederazione senza spargimenti di sangue. Non e' poco davvero.

L'ora di ritardo che ci segue come se fosse un fuso orario ci fa riposare nel lettuccio abbracciati a mamma'. Eccoci a Skopje. Vardar Skopje. Qualche sparuta partecipazione in Coppa UEFA forse.

Vale la pena visitare qualunque capitale. Le strade deserte ed orrendi pilastri obliqui non ci fermano sino al bancomat. Il solito funzionario occidentale lo fermiamo noi e facciamo due chiacchiere.

- Come va la convivenza interetnica?
- Beh, noi cerchiamo di organizzare progetti di collaborazione pacifica tra slavi ed albanesi. Poi pero' ciascuno dei due comincia a lamentarsi, non vogliamo lavorare con gli altri, non vogliamo parlare l'altra lingua, e cosi' via.

Il voyeur occidentale e' soddisfatto. No ethnic tension no party. And no Balkans.

La piazza centrale di Skopje e' surreale ma in fondo gli spazi ampi rimediano ad ogni bruttura. Passiamo il ponte che - migliore mitologia balcanica - divide la citta' slava da quella turco-albanese ed arriviamo nel quartiere del mercato.

La chiesa ortodossa appare nella meta' sbagliata della citta'. La gente compra candele longilinee, qualcuno prega, il lettore interpreta le sacre scritture. Peccato che sembri un culturista ed indossi una maglietta rosa con due lati PRESTASION STRAORDINARIA - SOLO CHICAS. Poi compare il pope a cui pongono il libro sacro. I fedeli sono ancora' piu mogi della cerimonia.

La piaggia, mancava solo quella. Scritte sui muri, e poche persone in giro. Solo i bar sono aperti ed i venditori di burek. Il burek e' una sfoglia ripiena di carne, formaggio od altro che si mangia dalla Slovenia alla Turchia. Forse certi odi scattanno anche perche' ci si rende conto delle eredita' comuni.

E' tempo per fermarsi. Due chiacchere con Jose'. Detiene un record. In autostop da casa sua a Toulouse. Sono tanti tanti chilometri. Poi il discorso si posa su Siena. Come sempre - c'e' un motivo se come e' piccolo il mondo si dice in tutte le lingue - siamo stati ospiti nella stessa casa di Taverne d'Arbia. Ci guardiamo a bocca aperte mentre due ragazzi albanesi si fermano davanti a noi ed uno ci parla. Ho lavorato in Italia. Facevo il pastore in provincia di Siena.

Due orette in un internet cafe' mentre fuori piove e la colonna sonora e' Com'e' triste Skopje.

L'altro lato e' diverso, qua i bianchi sono piu' bianchi e i negozi di tecnologia brillano come diamanti. Chi si possa permettere 250 Euro per una macchina digitale, ovvero spendere lo stipendio medio mensile per un oggetto, immaginiamolo.

Mi sa che nei Balcani i fiumi li hanno inventati apposta per potere dividere le citta' in due e poterci poi costruire sopra, in momenti di saggezza, maginifici ponti. Il ponte di Mostar o il Ponte sulla Drina, splendidi e resistenti ma sensibili alle tensioni sono in bilico tra convivenza preziosa e esplosioni irrazionali.

L'Albania e' li', comincia nel quartiere vecchio, quando il cameriere sembra non parlare quasi macedone. Peccato non avere conosciuto nessun abitante, cose da raccontarci ne hanno.

Il delirante appuntamento alla stazione ferroviaria di Skopje prende forma quando a me e Jose', che nel frattempo delirava se dirigersi in Kosovo, in Turchia o in qualsiasi altro paese a portata di intercity macedone, viene incontro Edoardo niente affatto turbato dalla coltre delirante di smog e dal cielo plumbeo. Sono arrivati addirittura in anticipo e in forma smagliante.

Poi quella che e' segnata come un autostrada si rivela addirittura un'autostrada ed eccoci quindi in poche ore a Ohrid. I gitanti in costume si spargono ad ondate e ci mettiamo un po' per trovare questo Stefan Kanovec che affitta camera che danno sul lago. Peccato che alla porta della casa di Stefan ci sia l'annuncio mortuario di Stefan Kanovec. Compunti per l'improvvisa scomparsa del nostro cicerone e delle nostre stanze riusciamo, con l'aiuto di un altro Kanovec, una stanza da 5 euro a testa per me e Jose'. Ormai giriamo per la Macedonia come se avessimo progettato di viaggiare insieme.

Lo stesso per Silvia ed Edo. Edo lo conosco da ad occhio e croce 10 ore, Silvia da 9 ore e mezzo.

Dopo la cena il teatro sotto al nostro ristorante si riempie per lo spettacolo folkloristico. C'e' il festival di cultura e musica tradizionale e ci tocca un super corpo di ballo con orchestra.

Ora, per due ore assistiamo estasiati allo show. In realta' Jose' chiude gli occhi e si abbraccia la testa a meta' spettacolo ed io lo seguo qualche minuto dopo. Il quasi assassinio sul Balkan Express ci ha provato. Ma lo spettacolo e' davvero interessante. Interessante soprattutto perche' capisci l'odio dei macedoni per la musica in 2/4 e 3/4. Perche'?

Lo zum pa pa zum pa pa in 3/4 non sara' il massimo della sofisticazione ma in fondo lo usava anche Verdi. Idem per la musica in 2/4. Qui se non e' in 13/14 la gente non si diverte. Anche se poi in realta' non riescono neanche ad applaudire. Fatto sta che Montale diceva che non si puo' essere grandi poeti bulgari (se la Macedonia fosse stata indipendente all'epoca magari avrebbe detto macedone). Sicuramente si puo' essere un grande musicista macedone (o bulgaro).

O forse gli anacoluti ed i soprassalti della musica macedone rappresentano la tensione tra la ricerca dell'ordine e la stabilita' e le tensioni in agguato?

Il sonno dei giusti ci aspetta. Il letto di legno resiste bene ai due pesi morti che si abbrancano alle assi.

Wednesday, August 10, 2005

Jose' parla benissimo italiano, ha studiato a Siena e si e' laureato in storia a Coimbra. Lo sommergo di immagini ricorrenti, Madredeus, Amalia, Porto, Jose' Afonso, poi menziona la tesi sulla guerra civile spagnola ed ecco campi secchi con miliziani dalle mani tozze e dalle unghie nere. Ci scambiamo le impressioni, i ricordi di Guca, i progetti di viaggio.

Il timore invade il treno quando il controllore che ridacchia sotto i baffi che non ha insieme ai quattro colleghi (per una sola carrozza: the Serbian way against unemployment) fa presente la necessita' di CAMBIARE TRENO. Camminare sui tizzoni ardenti mi pare improvvisamente piu' agevole. In piu', come sempre in questi casi, non e' che sai gia' che lo perdi o che lo prendi. No. Come sempre quella cavolo di indecisione che mi fa sudare il naso e che non mi fa concentrare sulle persone.

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai a Stalac. Stalac ha ottocento abitanti e quando chiedero' legittimamente ad uno, ma perche' devo cambiare qua quello mi risponde piccola citta' ma grande stazione. Doesn't make a grince.

Peccato pero' che poi esco con Jose' ed andiamo prima dal capotreno. Nella stanza dei bottoni ci sono quattro persone. Tutte piu' o meno sbadigliano ad intervalli diversi, due allontanano le mosche che io peraltro non vedo, il tono e' piu' o meno quello di chi e' troppo occupato per rispondere. Il tempo si ferma e fuori la stazione e' quella di Gatto Nero Gatto Bianco. Uguale. Se accetto la loro rakia mi fottono tutti i soldi e non riesco a fare passare i vagoni.

Poi andiamo a fare i biglietti. Qui invece la lotta alla disoccupazione si manifesta in due tipi che si affannano a tenere testa alla folla assiepata che vuole biglietti o morte. Il servizio ferroviario serbo e' talmente personalizzato che ad ogni passeggero corrisponde un controllore, un capostazione ed un bigliettaio.

Momento foie gras. La stanza della biglietteria e' tappezzata da foto porno e neanche la tele che sprizza a tratti musica folk serba su sfondo bucolico ci sottrae dall'assurdita' del tutto. Quel pazzo del mio compagno di viaggio si mette persino a fare una foto di nascosto alla stanza. Vincera' il premio al migliore fotoreportage del mondo.

Poi ci dirigiamo al bazaar di Stalac per comprare cibarie ed il secondo bigliettaro, adempiuto finalmente il gravoso onere, si reca poco dopo noi a tacchinare la bellona del bazaar.



Pensiamo che un posto dove cambi treno per andare anche a Salonicco o Atene, se vuoi, deve essere un posto importante con almeno un monumento ai partigiani. Dialogo con locale - Scusa, dov'e' il centro?- - Questo il centro -. Per questo intende la piazza della stazione. Solo a Mele mi era successo qualcosa del genere.

La piazza ha dei bambini che giocano sul monumento ai partigiani (effettivamente c'e' ma e' piccolo, poi menziona un soldato serbo morto nei bonbardamenti del 99), tutti ai tavoli a magnare, il negozio del ciabattino, casette che bombardate sarebbero in migliori condizioni, la casa del notabile del partito. Le figure ormai sono familiari, il ferroviere, il bigliettaro, la fastfooddara, i bambini. Non ci sto male. Lo dicevano anche i Metallica where I lay my hat is home. Jose' tira fuori tonni morti e stramorti che escono dalla latta come dal sarcofago, io fighetto declino il morso del tonno e vado dalla fastfooddara.

La folla variopinta che aspetto il treno macedone (dimenticavo che scrivo a Edo e Silvia che l'appuntamento e' il giorno dopo a Skopje) ha socializzato. Le due buzzicone norvegesi fumano come macedoni e si conferma che sono macedoni e non norvegesi, sono accompagnate da due omoni macedóni. Poi c'e' un signore con il vestito del matrimonio di Al Bano con Romina, io e Jose', ed un tipo che si aggira nell'androne senza vetri della stazione decorato da indimenticabili cartelli.


1.i portatori di benzina non possono fumare la pipa sul treno
2.i fumatori di pipa non possono portare benzina sul treno o
3.i fumatori di pipa con benzina al seguito non possono salire sul treno?




Con lui raschio il fondo del mio serbo e parlo venti minuti senza sapere come. La famosa storia del coleottero che per le leggi fisiche non puo' volere ma lui non lo sa e vola. Mi fa vedere la foto della figlia che si sta laureando in Legge e del figlio poliziotto. E' stato varie volte in Italia. Contrabbandava ma non riesco a capire cosa.
Prima i sensi li solleticavano gli spiedini ed i maialini allo spiedo, le ascelle dei bovini, le trombe impazzite. Un minuto dopo il saluto ai furlani rieccomi su quella che e' la vita di Guca 359 giorni all'anno. I granai, le fattorie ordinate, il silenzio, le strade deserte e - udite udite - gente che cammina per magari due o tre chilometri sino alla destinazione. Sfigati che non avete la macchina. Teste di cazzo prendetevi una bella autovettura che in due minuti siete arrivati.

La selezione per un passaggio a Ivanjica e' durissima. Ci sono le macchine con la targa CA che si dovrebbero fermare nelle vicinanze. Rimangono le altre ma molte sono piene con la nonna in nero davanti o quattro giovini al completo. Rimangono quindi quelle non complete ma eliminiamo quelle condotte da ricercati dal Tribunale dall'Aja. Ne rimangono quindi poche e quelle poche non hanno la minima intenzione di caricare uno che e' sudato e si sobbarca zainino e zainone solo per godere.

Il turismo da backpacker, come lo chiamano gli inglesi, e' un lusso. Viaggiare come i barboni e' un lusso. Un lusso delle civilta' benestanti che cercano in una stazione montenegrina l'autenticita' perduta e godono nel trovarsi in commissariati turchi, cessi giordani o corriere boliviane. Come smentire un nepalese se pensa che uno che si sobbarca venti chili di zaino per PIACERE e' un coglione? Se ci sballi tanto a portare venti chili ti do io la mia balla di fieno. O vieni un po' a zappare con me che mia moglie e' malata. Coglione.

In ogni caso cammino per cinque chilometri e quelli che passano il mio test per il fornitore di passaggi non si interessano alle mie conoscenze. Giunto finalmente ad un bivio abbandono il folle progetto Studenica per un ben piu' realista ritorno alla citta' e poi autobus a Nis, dove mi aspettano Silvia ed Edo.

Mi apposto presso un venditore di anguria o lubenica. La lubenica e' un altro grande simbolo dei Balcani. Di feste e bambini sorridenti, di bocche spalancate che si ficcano dentro al rosso sino all'ugola. Penso persino che l'uomo-lubenica magari va verso il monastero ma la targa del camion mi delude. Un signore con il bastone mi dice che l'autobus passa alle tre e mezza. Sono le due e un quarto ma secondo la teoria della relativita' di Einstein un'ora dei Balcani sono cinque minuti di Genova e due di M. Quindi tutto sommato non mi va male.

Balcani

Serbo rancore

Cavolo, quel veicolo bianco e rosso della pregiata societa' cacakiana per i trasporti interregionali si avvicina. Vuoi vedere che il signore si sbagliava. Non si sbagliava, ma il conducente mi dice in malo modo di salire ed a quel punto mi accomodo a bordo. Un attimo dopo lecco un bloc de foie gras e mi ungo di Sauternes. Giubilo divino. Dalla cabina del conducente pendono due poster. Quello di destra e' sobrio. Una mora in costume che emerge dalle acque. Quello di sinistra e' squisito. Una biondona bella gonfia ci invita all'Erotikon 2004.

Ondeggiamo tra granturco e tabacco.

Sosta a Naoma. Il conducente mi dice di prendermi una birra che l'autobus per Kraljevo parte un'ora e passa dopo. Beh di solito i conducenti sono dei tipi molto svegli quindi mi siedo nel pergolato e chiedo al tipo del bar di mangiare. Mi porta nel magazzino e intrappolati dietro una rete stanno dei bei pezzi di agnello, maiale e vacca. Scelgo il maialino che sino a poco tempo prima (spero) rotolava su se stesso come il sole, tre etti dovrebbero andare bene. Birra, porceddu, pane, poi caffe' turco (non sapevo che poi lasciasse la melmetta sul fondo). Serbia at its best. Di nuovo godimento come un riccio. Tra un po' mi sa davvero che mi metto a fare le tre dita, il cappellino, le quattro c, eccetera. Potenza della fantasia e del porceddu serbo.

Sparo di nuovo i nomi di tutti i calciatori serbi che hanno giocato in Italia negli ultimi quindici anni. Difficile non confonderli con i croati ma di solito i serbi sono ancora piu' pazzi degli altri slavi. Mi difendo ancora dalle accuse di avere bombardato la Serbia ma temo proprio che prima o poi finiro' davanti al Tribunale per i Crimini contro l'Ex-Jugoslavia. Mi difendero' citando qualche gol su punizione di Mihajlovic. Sinisa. E poi magari anche Draza. Eroi serbi a loro modo.

Da Naoma a Kraljevo. Viaggio di nuovo divertente. A bordo dell'autobus che ondeggia come un pendolino, il conducente pare troppo occupato per controllare i biglietti e quindi un altro personaggio fa i biglietti. Disoccupazione a livelli ridicoli immagino. Il bigliettaio ha un bel sorriso e formiamo un quartetto con due ragazzine reduci da Guca (una con maglietta GRAZIE A DIO SONO SERBO), atmosfera rilassante che quasi mi addormento, poi per fortuna arrivo a Kraljevo che ostenta il parcheggio di un carro armato nel parco pubblico.

Visita al monastero di Zica. Dipinto di rosso per imitare Monte Athos.



In poco tempo vedo gli affreschi e poi me ne torno di corsa perche' l'esperienza del treno balcanico e' l'aragosta appena pescata. Corro grazie ad un serbo emigrato in Germania che mi lascia alle 18.29 alla stazione. Il vagone, solo un vagone, dormicchia sul binario e il tempo scorre lento come le ultime goccie di yogurt quando lo rovesci.

Vabbe', saranno duecento chilometri anche meno. Piu' di quattro ore non ci mette, o forse cinque. Mi tocca uno scompartimento con uno strano tipo che non riesco a descrivere, uno che mi chiede di vedere il mio passaporto e gli fa una foto con il telefonino, penso alle cautele che si dovrebbero avere con il proprio documento, tutto sfuma e torno tranquillo. L'idillio ritorna. Peccato che debba cambiare treno.

Poi conosco Jose'. Ho visto subito in lui una faccia di occidentale desideroso di scambiare qualche parola con un consimile. Poi quando smette di parlare con due buzzicone orrende che dicono di essere norvegesi ma secondo me lo fanno solo per darsi un tono da paese ricco mentre in realta' sono emigrate dalla Macedonia, altrimenti perche' ci andrebbero - mi dirigo verso di lui con un bel bottone in mano. Ho pronto filo ed ago per attaccarlo.

Nella vita ci tocca vivere con tante persone. La selezione e' essenziale. A volte e' come salire sull'autobus. Ti tieni quello che trovi. A volte e' come sul lavoro, quindi almeno si tratta di persone che condividono qualche passo con la tua storia. A volte la selezione e' durissima e difficilmente uno resta deluso. Se incontri uno che viaggia solo sul treno Cacak-Nis, nella peggiore delle ipotesi e' una persona interessante ma molto individualista, nella migliore delle ipotesi e' un pazzo simpatico e che sa vivere. Jose' appartiene a questa categoria.
Sveglia ad un'ora cristiana (ortodossa) che devo andare a Nis a vedere Edoardo e Silvia. Tutti sono partiti tranne la padrona di casa che dorme ancora. Rio de Janeiro appare ancora sotto forma di gibanica, pomodori e cetrioli. Da quanto ho capito ecco un'altra equazione balcanica. Quanto piu' scendi a sud quanto piu' la cucina e' sana. Guca e' nel mezzo e quindi ecco porco e unto, ma anche verdure fresche.

Saluto con i tre baci serbi la mia mamma per due giorni e i parenti, poi arriva la figlia e ringrazio tutti. Grazie grazie grazie!

Voglio vedere Studenica. Uno dei piu' bei monasteri del paese, circondato da muraglie. Basta solo che faccia trenta chilometri ad Ivanjica e poi trovi un passaggio per una strada che qui sulla carta Michelin del 200o e poco segna a trattini. Quindi sara' bellissima e panoramica. Mi dissuadono ma ormai ho deciso che arrivare la' per la stradina sara' magnifico. Penso che solletichero' l'angelo custode sino a fargli venire l'ernia.

Ritorno a Guca sulla scena del delitto. Certo che camminare con lo zainone e lo zainino sotto il sole non e' il massimo. Mi incammino verso Ivanjica. I resti della serata precedente sono stati rimossi ed anche il parcheggio e' nei limiti della civilta'. Auto zingare coperte da pelli di ogni genere per proteggersi dal sole (immagino), qualche tricolore serbo ed i soliti bovini a torso nudo. Ma sono veramente pochi.

Trovo una bandierina con una trombetta e la scritta Guca. Il mio unico souvenir. Basta e avanza. Peccato per le poche foto fatte ma magari ritorno l'anno prossimo. Merita.

Circolo per tutto il perimetro della festa, sento da lontano l'ultimo fragoroso Hava Nagila (effettivamente il miscuglio giudo-zingo-serbo funziona) e via per la campagna serba. L'ultimo contatto con il genere umano e' con una coppia di Pordenone o Udine, non ricordo, che pero' va a Sarajevo e mi chiede di indicargli dove vado su una cartina con stelle rosse. Se fossero stati dei veri compagni mi avvicinavano a Studenica. Vabbe' no dai, non e' che tutto il genere umano si deve sovrapporre all'angelo custode.
Dante non trovava parole per descrivere il paradiso, le trovava per l'inferno. Le trovo per la pasta scotta cosi' comune nei paesi non civilizzati, non per la cena che prepara la madre di Mariana. Nell'ordine

KUPUS cavolo con vari pezzi di carne di maiale e vitello, una specie di cassoela
KAYMAK crema di burro
pollo ruspante
insalata dell'orticello con cetrioli e pomodori

L'espressione sapori di una volta trova un significato e davvero il cibo non e' solo forma ma anche contenuto.

Solo mi lascia perplesso che alla cena-pranzo partecipano Dragan, Goran, Djura e Bojan, mentre le due ragazze se ne stanno in disparte per subentrare quando ci siamo alzati. Come disse Lord Salisbury Con le culture che non si conoscono farsi i cazzi propri e non sindacare. Tenendo conto che ho gia' violato i sacri doveri dell'ospite tenendomi gli scarponcini impolverati in casa.

La conversazione scorre ben lubrificata. Solo vederli li' davanti alla tele (tedesca per giunta) senza parlare mi solleva per un attimo dall'idillio. O guardando il cellulare. Davvero la tecnologia ci da mille opportunita' per non dovere parlare o ascoltare. Prima al massimo potevi guardare da un' altra parte ma ti beccavano subito e facevi la figura del maleducato.

Dopo la pisa che mi meritavo nel lettino bucolico nella mansarda siamo pronti per il festival.

L'atmosfera e' simile alle nostre feste paesane o ad una super festa dell'Unita'. Non ci sono stranieri ne' ossessioni di doversi rendere presentabili all'occidente. Da un lato direi un terzo delle persone ostenta, e veramente ostenta, parafernalia nazionalista. In questo i serbi non sono davvero secondi a nessuno. QUalche simbolo nazionalista serbo

- la croce con una "c" cirillica in ciascun cantone. Samo Sloga Srbe Spasava. Solo l'unita' salvera' i Serbi.
- la šajkača, il cappello dell'esercito serbo nella prima guerra mondiale e dei cetnici nella seconda
- il saluto con le tre dita della mano. Mi spiegano che gli ortodossi si fanno il segno della croce con le tre dita unite, che poi si aprono nel saluto
- Draza Mihailovic il comandante dei cetnici. Non capisco perche' le magliette lo ritraggano vecchio ed esitante, con l'aria dell'anziano che da da mangiare ai piccioni. In ogni caso e' ovunque
- Karadzic e Mladic. Quest'ultimo e' granitico ed inespressivo come un generale. Difatti lo e'. L'altro ha una bella chioma peccato sia uno psicopatico. Lo striscione della piazza centrale di Guca, vicino alla statua del trombettiere, dice Nessuna resa senza lotta e porta la diade che precede. A Guca Karadzic e Mladic sono inseparabili come Ric e Gian.
- la battaglia di Kosove Pole con la quale i turchi sbaragliano i serbi e soggiogano il paese. Il mito principe. Se dalla discussione storica si passa al mito ed alla scienza si sostituisce la fede. 1389. I serbi ne conoscono la data a memoria, come i francesi il 1789 e gli spagnoli il 1492. O come noi il 1982.

In poche parole a Guca ricorda uno stadio di calcio. I distinti e le gradinate. Secondo regole infallibili, a sguardo bovino corrisponde uno dei simboli precedenti. A torso nudo pure. I miei amici si guardano bene invece da accostarsi alla paccottiglia nazionalista.

Djura e' incredibile. Fa il ciclista, aggiusta qualunque cosa a portata di mano, fuma sigarette con un bocchino ricavato da un ruota, ha lo sguardo del cavallo pazzo e non mi sembra a proprio agio. Premetto che poi tornera' a casa dopo di noi post intortationem puellae. Mi dice che e' weird but not crazy e come dargli torto. Parlo con lui ma poi incontro altra gente che puntualmente mi sorride, mi da' la mano, Jovan anche lui di Prishtina (e' piu' su di giri degli altri e difatti indossa un maglietta con scritto 1389, la legge che precede si conferma).

Ma il nazionalismo di Guca e' solo la facciata, anche se al voyeur occidentale le bottiglie fatte in casa colla cresta di Karadzic danno i brividi. In realta' e' (anche e forse soprattutto) provocazione, gara di celodurismo e goliardia. L'unico simbolo del comunismo accettato e' il faccione di Tito corrucciato. Nessuno indossa la bustina con la stella rossa. Non abbastanza provocatoria. Anche se - e lo dico dopo due giorni in Serbia - ci sono molti piu' nostalgici del comunismo che dei cetnici. Almeno sotto Tito erano riconosciuti internazionalmente, il passaporto valeva qualcosa e potevano viaggiare. Non erano costretti nei confini di un paese che ha gia' perso piu' della meta' dei componenti e che tra poco forse non avra' accesso al mare.

E poi la musica. Le prime note en passant tra i mille banchetti danno i brividi. Almeno a me e a pochi altri. La maggioranza ama il divertimento ma forse non il genere in se'.

Poi gli zingari. Mandate a Guca un sociologo ed uno storico, e forse pure uno psicologo. Gli zingari di Guca come i neri americani. Sono i poveracci del paese, gli e' negato accesso a mille porte, creano e diffondono musica magnifica, i bianchi se ne appropriano, la riconoscono come simbolo nazionale, la ballano senza la meta' del talento dei creatori, che devono solo intrattenere senza permettersi di partecipare. Mi sembra che il paragone funzioni ma chiedero' a gente piu' esperta.



Il concerto nello stadio e' spettacolare, peccato per il palco lontano dalla folla. In un posto dove vendono magliette di criminali di guerra ti aspetti risse e sguardi bovini. Invece quasi solo divertimento con moderazione, civilta', amici e coppie che si abbracciano, compostezza. Incredibile il contrasto con la barbarie dei macellai ritratti sulla cianfrusaglia in vendita. Confermato che il contenuto della maglietta dice molto del cervello del proprietario, non delle idee dello stesso.

Balliamo come matti e mi insegnano anche il kolo che e' la danza nazionale. Sincera commozione di tanti alla canzone nazionale sul Kossovo perduto, non trattengo un pensiero alla mia terra natale, ai miei monasteri bruciati dagli albanesi, alla battaglia perduta, quasi quasi mi metto la šajkača, penso all'Europa che mi disprezza, ai miei vicini croati che ci hanno massacrato a centinaia di migliaia a Jasenovac, a Pavelic e a Stepinac ed ai prelati croati che fanno il saluto romano, alle informazioni fuorvianti che giungono in occidente e che distruggono la nostra immagine, al fatto che paesi molto piu' arretrati di noi come Bulgaria e Romania entrano nella UE tra due anni, al coraggio che abbiamo dimostrato nella prima e nella seconda guerra mondiale, ai bombardamenti intelligenti della NATO.

Per fortuna un morso di hamburger e un bel pezzo di agnello arrosto mi riportano sulla terra, sulla sacra terra serba. Sulla gentilezza di gente che mi ferma sentendomi parlare di Nis ed offrendomi di guidarmi.

Collina in Serbia e' famosissimo, un suo libro e' stato tradotto e fa pubblicita' ad una birra!!!

Notte di trionfi. La gente che ho conosciuto e' stupenda. Alle cinque sono in letto. Laku noč.

Monday, August 08, 2005

Me lo faccio di nuovo il giretto nella via pedonale ed acquisto nell'ordine
- guida turistica della Serbia
- cartina della Macedonia
- altra guida della Serbia - squallida pero' -
Enciclopedia dei morti di Danilo Kis - qualcos'altro che non ricordo

Passo lugubri palazzi del potere e bandierone che pendono senza voglia. Poi finalmente torno alla vita normale della stazione e per fortuna l'autobus per Cacak non tarda. Quello per Guca partiva alle 15 ma quello era chiedere troppo alla sorte gia' continuamente sollecitata. La stazione dell'autobus di Cacak...beh, in realta' non mi ricordo neanche com'e' perche' in un minuto uno nerboruto mi chiede se devo andare a Guca.

Insieme a lui due ragazzi rassegnati a tanta decisione. Sono Goran e Dragan, serbi del Kosovo, di Prishtina, sono fuggiti nel 1999 dopo che la Nato ha bombardato la Serbia e consegnato il Kosovo agli albanesi.

L'Italia ha bombardato la Serbia. Se anche non l'avessi saputo, me l'hanno ricordato in tanti momenti. Ma non riescono a capire perche'. Credono che non torneanno mai piu' in Kosovo e il mio tentativo di avvicinarmi - ma tra qualche anno la Serbia entrera' nella UE in tono inquisitivo ed affermativo - il minibus ride all'unisono ed il nerboruto muove la mascella che sembra volere mangiarmi.

Dragan parla un po' di italiano, io sfodero le conoscenze linguistiche che tenevo in serbo. Sono affettuosi e sorridenti. Sento anch'io la storia che passa davanti a me e non e' solo una pagina di un libro. Il secondo tema ricorrente di questi primi giorni e' il visto. Non possono andare praticmanete da nessuna parte senza visto e per uno studente universitario che parla inglese ed italiano e vuole vedere il mondo e' una tortura. Mi sono perso. Torniamo all'arrivo alla stazione di Cacak. Dopo pochi minuti il nerboruto ci lascia le chiavi del suo furgoncino e Dragan e Goran mi chiedono se voglio andare a casa della loro amica. Sento che il mio angelo custode ha partorito un'altra idea geniale. Cazzo non ti stancare mai angioletto. Oppure avvertimi prima.

E quindi me ne salgo sul minibus tranquillo perche' il lettuccio ce l'ho. Tornanti tornanti tornanti. Colline verdi e fattorie prospere. Cielo plumbeo per fare si' che i colori risaltino. Arriviamo a Guca ed eccoli i miei nuovi amici. Se gia' il filo che unisce me a Dragan e Goran e' esile, con questi ragazzi basterebbe un nulla per allontanare la confidenza.

Quante volte a Genova e M. fili mille volte piu' forti non sono bastati per tagliare il ghiaccio in due. Mi innamoro all'istante di Djura, che pare un modello e che in altri posti andrebbe in giro con improbabili occhiali a goccia e infradito. Marjana e' la padrona di casa. Sorride aperta e semplice. Cosi' fa anche Milana. Tutti studiano ingenieria e parlano bene inglese, molto meglio dei loro omologhi al di qua del muro UE. Ammetteteli in Europa, cazzo! La casa di Milana ha un bel giardino ben curato e tanti dettagli di una casa italiana di campagna. Chiaccheriamo in salotto e primo dettaglio tipico. Milana porta marmellata di ciliegie e un bicchiere bianco che immagino contenga qualche liquore imbevibile della zona. Che goduria le ciliegie poi mi spiegano che quella e' acqua. Metto il cucchiaio nell'acqua. Poi mi dicono guarda che se vuoi puoi bere l'acqua. La bevo evitando il cucchiaio.

E la coda dell'occhio da grandi notizie. La pentola bolle e la mamma e' indaffarata. Di nuovo il pianeta terra diventa la Rio de Janeiro del sistema solare.

5 agosto - Beograd

Parto da M. il venerdi sera. Il trasferimento all aeroporto, la lista delle destinazioni buttata li come i piatti del giorno, tutte le lingue del mondo parlate ma in fondo e' come se non se ne parlasse nessuna, minano anche la passione piu' forte.
Il check in e' in una parte bella periferica dell'aeroporto e ci siamo solo noi belgradesi e i casablanchini. Ultima occhiata per vedere se Ingrid Bergman si convince finalmente di avere fatto una cazzata. Mi offro per accollarmi parte dei chili di una ragazza e da li' a poco sapro' che sono due amiche, una ragazza di Milano che ha fatto volontariato ambientale a Nis, e una ragazza di Nis.
L'italiana e', ovviamente, stata a Guca. Ci si diverte e poi c'e' anche la musica.
Lei poi ci lascia e mi faccio il viaggio con Alexsandra. E' un medico ma lavora nel marketing di una azienda farmaceutica, ha unghie lunghe e curate come tante serbe e calzini con Snoopy o qualche altro fumetto. Ormai siamo solo noi italiani a difendere l'ortodossia del calzino monocolore.
Primo refrain, puntuale in Serbia come la carne allo spiedo. I bombardamenti del 1999. Magari in Italia noi ci ricordiamo molto di piu' delle guerre nella ex-Jugoslavia, ma i serbi, mi pare, non tengono molto a parlarne. Forse sanno che davvero non possono dire di avere la mani pulite. Anche se tutti hanno pucciato le mani nella sozzeria estrema.
Dei bombardamenti parlano continuamente. Io spiego che non c'ero e se cc'ero dormivo. Taccio che all'epoca credevo che bisognasse dare una lezione a Milosevic. Per loro esiste soprattutto lo stupore di essere stati puniti mentre i croati pulivano ben bene le zone popolati da serbi. Non sembrano essere coscienti della politica di Milosevic in Kosovo. Ma noi ne siamo coscienti? Giusto domandarselo quando la situazione di un paese la si conosce per i giornali.
Poi mi insegna alcune parole di serbe e vediamo insieme la guida dell'Europa Orientale. Continuo a pensare che e' particolare vedere Estonia ed Albania insieme in una guida che non sia quella dell'Europa intera, ma al turista americano forse la terminazione in nia basta.
Arriviamo, perdo Alexsandra, e cerco di farmi spennare dal primo taxista. Mi dice 2000 dinari - qualcosa tipo 20 euri - all'hotel ma il grande dio degli ortodossi mi guida da un altro personaggio che offre 1200.

Conversazione

- perche' sei qui? Turismo, affari, o ?
- Vado a Guca
- GUCAAAA???

Pulsante play. Partono trombette assatanate. Ci illuminiamo entrambi. e poco dopo il primo momento per cui vale la pena vivere. La versione balcanica della Lambada. Mi lecco le dita dinnanzi a tanta delizia trash.

Emozionante la prima visione di Blegrado centro con la Sava ed il Dnabio che si incontrano proprio davanti alla fortezza. Albergo centrale ed esattaente come lo aspettavo. Poi giro per Belgrado e di nuovo, come in tante altre citta' d'Europa, quelle vie pedonali centrali senz'anima. Che poi sia Stoccolma, Budapest o Belgrado poco importa, lo schema si ripete. Per fortuna almeno qui il progresso non e' ancora giunto e ci son ancora piccole librerie nella strada principale.

La strada piu' caratteristica ha tutta una serie di ristoranti con musica tradizionale. Quando Belgrado diventera' una destinazione sara' la prima a cadere ai giapponnesi. O magari ad offrire placidamente il collo al morso mortifero e suadente dei cacciatori di parafernalia balcanica.

Indimenticabile il vecchietto che ripete kikiriki e sembra vendere gelati o beni vari. Anch'io morso dal richiamo del tipico gli chiedo una porzione - sono arachidi - e gli porgo l-equivalente di un euro o qualcosa di piu'. A quel punto lui rimane stupito dall'incongruenza del corrispettivo e cerca di inseguirmi per darmi un altro mezzo chilo di arachidi. Ma io cerco carne alla griglia e andro' a letto insoddisfatto.



Per fortuna la tele nella stanza offre chicche imperdibili tra cui un film degli anni 50 sulla resistenza e Tito. Godo nel silenzio della stanza rotto solo dai rastrellamenti tedeschi.